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#359 INVERNO 2022-23

“Tutta l’arte ha la sua parte di finzione ma non tutta la finzione è arte”. Con queste parole Romy Golan apre il Critic Dispatch di questo numero invernale, intitolato FICTION E AUTOFICTION. Ripercorrendo e analizzando tre importanti mostre avvenute in Italia tra il 1967 e il 1970 — “Lo spazio dell’immagine”, “Arte povera più azioni povere”, e “Amore mio” , Golan rintraccia, nella produzione artistica italiana degli anni Sessanta, un’idea piuttosto salda della finzione.

 

Anche nella più recente produzione artistica si assiste a una progressiva scomparsa del dato reale. Questo non scompare mai, ma si trasforma in qualcosa di altro celandosi all’interno di processi di autofiction. Secondo Luca Panaro, questo avviene soprattutto in certe pratiche fotografiche, come dimostra il lavoro di quattro fotografi italiani contemporanei: Cristian Chironi, Daniela Comani, Alessandra Spranzi, Paolo Ventura, i cui lavori “sono la rappresentazione di un racconto ampio dove l’autore si presente come un personaggio altro da sé, pur attingendo a elementi in qualche modo autobiografici”. La fotografia viene utilizzata per attuare processi di autorappresentazione e autofiction anche da Irene Fenara, Karim El Maktafi e Silvia Rosi. La produzione dei tre fotografi è analizzata da Elisa Medde muovendo dalle parole di Anneleen Masschelein, secondo cui “Il soggetto autoriale che si manifesta in narrative autobiografiche o memoria, si ricostruisce nuovamente ma in una forma apertamente frammentaria o fittizia.”

 

L’avatar è un altro espediente che l’artista può utilizzare per vestire i panni qualcun altro, o per diventare altro. È questo il caso di Theo Triantafyllidis e Eleonora Luccarini che, come scrive Tommaso Gatti, ricorrono agli avatar e al role-playing “per esplorare quella zona grigia in cui il sé sfuma”.

Un processo di ricostruzione e rielaborazione delle immagini è anche quello sviluppato in pittura da Valerio Nicolai, la cover story di questo numero. Secondo Alessandro Rabottini, il lavoro di Nicolai “non regredisce mai davanti alla banalità delle fonti, ma pare al contrario volerne proseguire le estreme conseguenze, andando a esplorarne le potenzialità formali e poetiche”. L’artista si appropria di qualsiasi immagini facilmente reperibile, inserendola all’interno di una prospettiva di ricerca pittorica cercandone il “punto di rottura”. Il tema della visione è molto forte in Nicolai, che attraverso i suoi lavori cerca di creare marchingegni che riflettano sulla relazione tra pittura e scena e sulle politiche dello sguardo. Sulle potenzialità e limiti dell’immagine si interroga anche Luca Bertolo, la cui produzione è permeata, secondo Davide Ferri, da un carattere discorsivo e meta-pittorico. Tale interrogazione viene condotta da Bertolo attraverso l’utilizzo di macchie che fanno si che le cose accadano, suggerendo o negando forme riconducibili alla realtà.

 

L’episodio della rubrica One To Watch è dedicato a Costanza Candeloro, nel cui lavoro è ancora una volta rintracciabile un processo di elaborazione e appropriazione di qualcosa d’altro. Per Vincenzo Di Rosa l’artista “attinge liberamente allo spazio dell’immaginazione, rimettendo in gioco motivi letterari e cinematografici nelle sue opere, ma sono riscritti e formulati”. Nelle opere di Candeloro gli scenari finzionali si incrociano fino a confondersi con i riferimenti personali.

 

Inoltre in questo numero: un progetto visuale di Lorenzo Lunghi accompagnato da una conversazione con Laura Tripaldi sulla possibilità di trasformare le tecnologie di uso quotidiano in spie e parassiti della civiltà capitalista; Émeline Jaret ripercorre l’attività di Philippe Thomas e l’agenzia readymades belong to everyone® che ha operato “mettendo continuamente in discussione lo statuto funzionale dell’autorialità e il suo stesso nome”; Michele D’Aurizio indaga la pratica artistica di Jorge Eielson, Betty Danon e Antonio Dias, che, pur avendo radici lontane e diverse, in Italia “si animano motivate da una critica al presunto carattere universale dei linguaggi dell’arte contemporanea.”

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#359 INVERNO 2022-23
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“Tutta l’arte ha la sua parte di finzione ma non tutta la finzione è arte”. Con queste parole Romy Golan apre il Critic Dispatch di questo numero invernale, intitolato FICTION E AUTOFICTION. Ripercorrendo e analizzando tre importanti mostre avvenute in Italia tra il 1967 e il 1970 — “Lo spazio dell’immagine”, “Arte povera più azioni povere”, e “Amore mio” , Golan rintraccia, nella produzione artistica italiana degli anni Sessanta, un’idea piuttosto salda della finzione.

 

Anche nella più recente produzione artistica si assiste a una progressiva scomparsa del dato reale. Questo non scompare mai, ma si trasforma in qualcosa di altro celandosi all’interno di processi di autofiction. Secondo Luca Panaro, questo avviene soprattutto in certe pratiche fotografiche, come dimostra il lavoro di quattro fotografi italiani contemporanei: Cristian Chironi, Daniela Comani, Alessandra Spranzi, Paolo Ventura, i cui lavori “sono la rappresentazione di un racconto ampio dove l’autore si presente come un personaggio altro da sé, pur attingendo a elementi in qualche modo autobiografici”. La fotografia viene utilizzata per attuare processi di autorappresentazione e autofiction anche da Irene Fenara, Karim El Maktafi e Silvia Rosi. La produzione dei tre fotografi è analizzata da Elisa Medde muovendo dalle parole di Anneleen Masschelein, secondo cui “Il soggetto autoriale che si manifesta in narrative autobiografiche o memoria, si ricostruisce nuovamente ma in una forma apertamente frammentaria o fittizia.”

 

L’avatar è un altro espediente che l’artista può utilizzare per vestire i panni qualcun altro, o per diventare altro. È questo il caso di Theo Triantafyllidis e Eleonora Luccarini che, come scrive Tommaso Gatti, ricorrono agli avatar e al role-playing “per esplorare quella zona grigia in cui il sé sfuma”.

Un processo di ricostruzione e rielaborazione delle immagini è anche quello sviluppato in pittura da Valerio Nicolai, la cover story di questo numero. Secondo Alessandro Rabottini, il lavoro di Nicolai “non regredisce mai davanti alla banalità delle fonti, ma pare al contrario volerne proseguire le estreme conseguenze, andando a esplorarne le potenzialità formali e poetiche”. L’artista si appropria di qualsiasi immagini facilmente reperibile, inserendola all’interno di una prospettiva di ricerca pittorica cercandone il “punto di rottura”. Il tema della visione è molto forte in Nicolai, che attraverso i suoi lavori cerca di creare marchingegni che riflettano sulla relazione tra pittura e scena e sulle politiche dello sguardo. Sulle potenzialità e limiti dell’immagine si interroga anche Luca Bertolo, la cui produzione è permeata, secondo Davide Ferri, da un carattere discorsivo e meta-pittorico. Tale interrogazione viene condotta da Bertolo attraverso l’utilizzo di macchie che fanno si che le cose accadano, suggerendo o negando forme riconducibili alla realtà.

 

L’episodio della rubrica One To Watch è dedicato a Costanza Candeloro, nel cui lavoro è ancora una volta rintracciabile un processo di elaborazione e appropriazione di qualcosa d’altro. Per Vincenzo Di Rosa l’artista “attinge liberamente allo spazio dell’immaginazione, rimettendo in gioco motivi letterari e cinematografici nelle sue opere, ma sono riscritti e formulati”. Nelle opere di Candeloro gli scenari finzionali si incrociano fino a confondersi con i riferimenti personali.

 

Inoltre in questo numero: un progetto visuale di Lorenzo Lunghi accompagnato da una conversazione con Laura Tripaldi sulla possibilità di trasformare le tecnologie di uso quotidiano in spie e parassiti della civiltà capitalista; Émeline Jaret ripercorre l’attività di Philippe Thomas e l’agenzia readymades belong to everyone® che ha operato “mettendo continuamente in discussione lo statuto funzionale dell’autorialità e il suo stesso nome”; Michele D’Aurizio indaga la pratica artistica di Jorge Eielson, Betty Danon e Antonio Dias, che, pur avendo radici lontane e diverse, in Italia “si animano motivate da una critica al presunto carattere universale dei linguaggi dell’arte contemporanea.”

Recensioni Simon Dybbroe Møller "What Do People Do All Day / Boulevard of Crime" Francesca Minini, Milano / Trisha Baga "TIME MACHINE" Gió Marconi, Milano / Dora Budor "Incontinent" GAMeC, Bergamo / Vasilis Papageorgiou "Why does heat make things blurry" UNA Galleria, Piacenza / Olafur Eliasson “Orizzonti tremanti” Castello di Rivoli, Torino / Arthur Jafa "RHAMESJAFACOSEYDRAYTON" OGR, Torino / Emma Talbot "The Age/L’età" Collezione Maramotti, Reggio Emilia / Massimo Bartolini "Hagoromo" Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato / Jonas Mekas "Images Are Real Mattatoio", Roma / Marzia Migliora Fame d’aria Galleria Lia Rumma, Napoli

 

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